Ho ancora davanti agli occhi quell’immagine. Abito in periferia, a Roma, e prima di andare in ufficio porto i rifiuti al cassonetto. Non so mai cosa troverò lì abbandonato, l’altro giorno era un divano rosso con sopra elegantemente appoggiati un paio di sci completi di bastoncini, ieri un motorino di cui restava solo la carcassa priva di motore appoggiato su una gigantesca macchia d’olio. Non so cosa dica la testa dei romani in proposito ma a me viene una sorta di disperazione interna e mi fa pensare che, temo, non ce la faremo mai a diventare civili.
Per arrivare al cassonetto devo attraversare la strada e, da lontano, vedo una gran macchia bianca che parte dalla cima del cassonetto e si allunga sulla strada. Già penso “Ecco, qualcuno ha cambiato le tende e non ha trovato di meglio che buttarle là senza nemmeno curarsi di infilarle del tutto dentro”. Rischio la vita attraversando – le strisce pedonali sono un pallido ricordo comunque ignorato dagli automobilisti – e resto quasi folgorato dall’immagine che si presenta ai miei occhi: la macchia bianca non è una tenda ma … un abito da sposa. Immacolato, chiaramente mai usato! Stanotte si deve essere consumato un dramma, forse ieri una ragazza, una donna era immensamente felice e pronta a cominciare una nuova vita con il suo amato …
Tutto è pronto, la grande fatica di preparare il matrimonio è finita. La famiglia tira un sospiro di sollievo e, mentre la parrucchiera finisce l’acconciatura, ripercorro alcuni dei momenti che ci hanno portato qui oggi. Ho portato Giorgio a casa circa un anno fa, l’avevo incontrato ad una manifestazione per la libertà di stampa, indossava una buffa maglietta che gli stava decisamente troppo piccola ma la portava con orgoglio. L’ho visto e mi è piaciuto subito. Essere entrambi lì voleva già dire che di base la pensavamo allo stesso modo almeno sulle grandi cose, per le piccole avremmo certamente trovato la nostra strada. Quando – qualche mese dopo – ho parlato di matrimonio a casa tutti sono stati contenti tranne una vecchia zia che era un po’ perplessa; ma poi Giorgio l’ha invitata a cena e l’ha ammaliata con le sue chiacchiere, le sue storie (e le ha offerto il suo dolce preferito, su mio consiglio…) e, da quel momento, la zia è stata la sua prima fan. E poi la scelta delle bomboniere – delle palle di vimini fatte a mano, una per una – e del vestito, le scarpe … tutte cose che hanno prima gettato nel panico la famiglia ma che poi si sono risolte quasi da sole. Volevamo entrambi una cerimonia semplice, abbiamo finito per accettare tutte le richieste delle famiglie e avremo più di duecento invitati: una follia! Ma in fondo dobbiamo tutto a loro, perché non accontentarli? Sono pronta, la macchina è fuori con mio padre e l’autista. E’ ora di andare. Dalla chiesa mia zia chiama, andate piano, Giorgio non è ancora arrivato. Lo chiamo, non risponde. Provo ancora, nulla! Panico! Gli sarà successo qualcosa? Dove sarà? Non oggi per favore, non è mai in ritardo, non oggi per favore! Aspettiamo tutti un po’ agitati, mio padre cerca di tranquillizzarmi senza successo: sento che qualcosa non va. Ed eccola la telefonata, il fratello di Giorgio chiede di me, ha la voce agitata … “Non so come dirtelo, … cerca di prenderla bene, cerca di capirlo … Giorgio mi ha chiamato, è all’aeroporto in partenza per gli Stati Uniti, ha accettato quel posto di ricercatore, … non tornerà più in Italia … non può più sopportare di essere un precario a vita … vuole ricominciare tutto da capo … proprio tutto. Mi ha detto che spera che tu lo perdonerai …”
Ma magari tutto questo è una mia fantasia, l’abito è stato a lungo in un baule, di una nonna magari, è fuori moda e ora la famiglia lo offre alla prima persona cui magari fa comodo per risparmiare un po’ sulle spese. Scelgo un altro contenitore per la mia spazzatura, non voglio contaminare questo splendido vestito. Con un nodo in gola torno indietro, prendo l’autobus per andare la lavoro. A sera, al mio ritorno, l’abito non c’è più.