Il biliardo

p004_1_01L’uomo è giovane, biondo, di corporatura piccola ma snello ed apparentemente carico come una molla. In mano ha una valigetta lunga e stretta. Si avvicina al tavolo della carambola e ne studia accuratamente la superficie, a noi sembra perfetta anche se un po’ scolorita, chissà lui che ne pensa. La luce bassa e schermata gli illumina le mani e tiene nella penombra il resto. Appoggia la valigetta di traverso sull’angolo, la apre e ne estrae tre corti pezzi di legno lucidi e affusolati che avvita lentamente tra loro fino a formare una perfetta stecca da biliardo. Un colpo di gesso sulla punta. L’uomo è un professionista ed è li non per giocare come noi ma per allenarsi, prepararsi forse alla prossima gara internazionale. Dispone le palle della carambola nella loro posizione, si china e, senza apparente sforzo, colpisce. Un colpo perfetto, le tre palle si dispongono vicine pronte per il prossimo tiro. Timidamente i più audaci di noi si avvicinano per guardare, studiare, imparare. La cosa non sembra infastidirlo anzi forse una punta di malizia e di orgoglio gli illumina il volto. Lo spettacolo diventa quotidiano, un’ora di gioco, e poi sparisce fino al giorno dopo. Un giorno è la sua assenza a brillare. E poi ancora e ancora. Chissà che fine avrà fatto. Una sera a casa faccio un giro sulla televisione satellitare e capito su una ripresa dei campionati europei di biliardo che si svolgono in Inghilterra. E lui è li e sta disputando la partita che, se vinta, lo qualificherà’ campione europeo di carambola. Naturalmente non posso staccare lo sguardo dallo schermo e, si, il campione è lui, l’uomo che ha giocato sul nostro biliardo.
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